Da cosa nasce il pregiudizio?
La vitamina D agisce come un ormone ed è di grande importanza per il nostro organismo, in particolare:
- è responsabile dell’omeostasi del Calcio (ossia ne regola l’assorbimento a livello renale e intestinale e ne favorisce il deposito nelle ossa – un ruolo essenziale per garantire la crescita e il mantenimento dello scheletro);
- è coinvolta nel corretto funzionamento del sistema immunitario (in particolare favorendo la fagocitosi, ossia l’attività delle cellule del sistema immunitario deputate ad inglobare e distruggere gli agenti esterni);
- svolge un’azione modulante nelle infiammazioni;
- partecipa al funzionamento del sistema muscolare;
- svolge attività in grado di prevenire e rallentare lo sviluppo dei tumori (rallenta la crescita del cancro, favorisce l’apoptosi – ossia la morte programmata delle cellule tumorali, riduce l’angiogenesi – ossia la formazione di nuovi vasi sanguini che andrebbero a portare nutrimento al tumore).
La vitamina D si trova negli alimenti:
- in forma di vitamina D2 (ergocalciferolo), presente in quantità molto scarse nei cibi vegetali (alcuni funghi);
- in forma di vitamina D3 (colecalciferolo), rinvenibile in piccole quantità nei cibi grassi di origine animale (pesci grassi, latticini, uova e fegato).
La sua ridotta presenza nei cibi vegetali fa sì che tale vitamina sia spesso considerata un nutriente ottenibile in quantità adeguate solo nell’ambito di una dieta che preveda il consumo di alimenti di origine animale.
Perché si tratta di una “criticità” gestibile?
In realtà oggi sono in molti (indipendentemente dalla dieta) a presentare carenze di vitamina D, questo nutriente sempre più spesso richiede supplementazione anche nell’ambito di un’alimentazione onnivora.
La sua presenza nei cibi è infatti, al più, ridotta e spesso non sufficiente a raggiungere il fabbisogno giornaliero (le assunzioni di riferimento per la popolazione – PRI – in un adulto sano sono tra 15 e 20 mcg/die).
Quando è necessario integrare? Quando gli esami del sangue rilevano la presenza di bassi livelli ematici di 25H-vitamina D e/o di elevati livelli ematici di paratormone[1] . L’integrazione, nell’ambito di una dieta vegana, può avvenire con vitamina D2, per esempio con l’assunzione di 2.400 UI di vitamina D2 ogni 4 giorni. L’assorbimento richiede, inoltre, l’introito di una componente lipidica (la vitamina D si assorbe meglio se la assumi insieme ad un alimento grasso) e la presenza di sali biliari, mentre fibre e fitati ne riducono l’assimilazione.
Il nostro organismo possiede una via fisiologica per compensare i ridotti introiti di vitamina D. La pelle è, infatti, in grado, se esposta ai raggi solari UV, di produrre a livello endogeno la provitamina D3 (7-deidrocolesterolo). Quest’ultima, sempre a livello della pelle, viene convertita in previtamina D3 e in vitamina D3 per poi giungere al fegato. Qui la vitamina D proveniente dalle varie fonti è convertita in un metabolita comune, il 25-idrossicolecalciferolo o 25(OH)D, che nel rene è a sua volta convertito in 1,25-diidrossicolecalciferolo o 1,25(OH)2D – si tratta della forma attiva della vitamina D. Insomma, data la presenza scarsa di questa vitamina nelle fonti alimentari, siamo in grado di produrla in autonomia, a patto di esporci correttamente al sole, i cui raggi sono un ingrediente fondamentale nel “processo produttivo” che ci consente di disporre di quantità adeguate di questo nutriente.

Tale via richiede, appunto, un’adeguata esposizione ai raggi solari (alla latitudine media italiana, per un adulto sano, sono sufficienti 20-30 minuti di esposizione ai raggi solari di volto e mani per 2 o 3 volte alla settimana). Occorre però ricordare che la luce solare è una fonte molto variabile, la capacità dei raggi UV di contribuire alla produzione di vitamina D è influenzata da numerosi fattori, quali la latitudine, la pigmentazione della pelle, l’età, l’inquinamento, l’utilizzo di filtri solari.
L’integrazione di vitamina D può costituire una misura prudenziale in tutti i soggetti (indipendentemente dal tipo d dieta), a meno che l’esposizione ai raggi solari non sia un’abitudine consolidata.
Come regolarsi? Esporsi al sole – in modo intelligente – il più possibile e integrare con D2 nei periodi (es: mesi invernali) in cui riteniamo di non poter dedicare al sole abbastanza tempo!
[1] La vitamina D incrementa l’assorbimento intestinale di Calcio e Fosforo, riduce le perdite urinarie di Calcio e in presenza di elevate quantità di paratormone aumenta la calcemia del sangue tramite demineralizzazione ossea –> libera quindi il Calcio dalle ossa per tamponare eventuali acidità e mantenere il PH in condizioni ottimali.
super Ele 😃
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