Il latte è onnipresente nella nostra alimentazione. Non lo assumiamo solo sotto forma di bevanda o dei suoi principali derivati, quali yogurt, burro e formaggi, il latte è un ingrediente che troviamo facilmente in numerosi prodotti alimentari; lo contengono, per esempio, molte varietà di pane, biscotti, cioccolato, prodotti da forno in genere e i suoi componenti sono spesso utilizzati quali conservanti.
In molti mi chiedono perché mai un vegano non dovrebbe consumare latticini, evidentemente non ci si interroga abbastanza sulla provenienza di questi prodotti…
Etica
L’industria del latte è crudele quanto quella della carne, cui è peraltro strettamente connessa. Il criterio alla base di entrambe le filiere è sempre la massimizzazione del profitto ottenibile dallo sfruttamento degli animali, profitto che è perseguito abbattendo i costi il più possibile e ricercando incremento dei ricavi… logiche che non vanno di pari passo con il perseguimento del benessere animale.
Occorre ricordare, innanzitutto, che le “vacche da latte” non sono animali che producono il latte automaticamente. La produzione è sempre conseguente, come per tutti gli altri mammiferi, alla nascita di un cucciolo. Cucciolo che in genere viene sottratto alle cure della mamma quanto prima, scatenando dolore per la separazione ad entrambe. La separazione del vitellino dalla mamma può avvenire subito dopo il parto o, al massimo, pochi giorni dopo. Il latte è destinato alla vendita, infatti, e, per poter giungere sulle nostre tavole nella maggior quantità possibile, non può essere utilizzato per il nutrimento dei vitellini. Nel caso non fosse già ovvio, sono stati condotti esperimenti che supportano, con prove empiriche, l’effettivo dolore dolore che sconvolge mamma e cucciolo: il battito del cuore della mamma aumenta, nei giorni successivi alla separazione la mucca mostra inoltre chiari segnali di stress, rumina di meno, dorme male e muggisce alla ricerca del suo cucciolo.
La produzione di latte avviene solo per alcuni mesi dopo il parto, motivo per cui il triste circuito si ripete più volte nell’arco della vita di una mucca: all’inseminazione artificiale segue una gravidanza che si conclude con il cucciolo strappato alla madre e rinchiuso in un box.
In natura una mucca potrebbe vivere per circa 20 anni. La selezione genetica, però, ha permesso di ottenere vacche da sfruttare al massimo per la produzione del latte, il che fa sì che una mucca abbia picchi produttivi per 4-5 anni poi, una volta esausta, è destinata al macello. Gli animali che vivono negli allevamenti intensivi sono sottoposti a forti stress produttivi, perché, al fine di far aumentare la redditività dell’allevamento, devono sopportare ritmi molto elevati. Questa selezione genetica, volta a consentire una produzione esasperata, non è priva di impatto sul benessere e sulla salute degli animali, che spesso soffrono di mastiti e zoppie.
Non migliore è la vita del cucciolo strappato alle cure materne. Nel migliore dei casi, riceve un’alimentazione inadeguata per garantire al consumatore la carne bianca che tanto piace al mercato e che deriva da denutrimento, privazione di ferro e quindi inadeguata produzione di emoglobina. Dopo circa 6 mesi è anch’esso destinato alla macellazione. E ribadisco che questo accade nella migliore delle ipotesi. Diverse inchieste hanno portato alla luce realtà ben peggiori, tra queste ricordo in particolare un’indagine esposta da Giulia Innocenzi nel suo bestseller Tritacarne, libro che invito chiunque voglia approfondire il tema a leggere. L’Italia è molta fiera di alcuni prodotti quali la mozzarella di bufala. Peccato che le bufale non mettano al mondo solo femmine e quando nasce un bufalino è ancora prassi diffusa per gli allevatori sbarazzarsene in qualsiasi modo. La carne di bufalo non è molto richiesta e il mantenimento di un bufalo (che in quanto maschio non produrrà mai latte) può risultare costoso, motivo per cui nelle campagne antistanti gli allevamenti si possono ancora trovare cadaveri di cuccioli abbandonati a morire appena nati. I bufalini sono considerati scarti di produzione, farli crescere costerebbe di più rispetto a quanto costi far crescere un vitellino e occorrerebbe loro più tempo per raggiungere il peso adatto alla macellazione. Il cosiddetto indice di conversione di un bufalino, insomma, non è efficiente e per questo troppo spesso si cerca di liberasi di questi cuccioli, nel modo più economico possibile, non sempre rispettando quanto prescritto dalla legge… Animal Equality nel 2019 ha pubblicato gli esiti di un inchiesta shock sugli allevamenti di bufale. Il video seguente è stato girato in allevamenti tutti italiani… questa è l’agghiacciante verità che si cela dietro la rinomata mozzarella di Bufala DOP.
Il video seguente è stato realizzato da Essere Animali, un’altra associazione che si batte per la difesa e il benessere di chi non ha voce.
Per non parlare del problema delle mastiti che spesso affliggono le mucche o del fatto che ovviamente un cucciolo maschio difficilmente avrà diritto, in caso di necessità alle cure di un veterinario: lasciarlo morire spesso è economicamente la scelta più sensata, costa meno che investire per curarlo e poi macellarlo.
Ma il “fenomeno” più aberrante in assoluto è la macellazione delle “mucche a terra”, ossia di quei capi che arrivano alla fine dei loro giorni talmente esausti da non reggersi in piedi… Di seguito alcuni link a video che non richiedono ulteriori commenti.
Indagine 2019 Striscia la notizia
Indagine 2019 Essere Animali
Salute
Il latte è diventato un alimento quotidiano in tempi recenti: in Italia la pastorizzazione si è diffusa ampiamente solo nel primo dopoguerra, portando nelle nostre case quantità di latte prima non ipotizzabili. Siamo l’unico mammifero che, non solo continua a bere il latte dopo lo svezzamento, ma si nutre per tutta la vita del latte di un’altra specie. Non c’è quindi da stupirsi se sono così numerose le allergie e intolleranze ad un alimento che non sarebbe destinato al consumo umano.
Per anni ci hanno insegnato che latte e derivati sono essenziali per la salute delle nostre ossa, in quanti fonti privilegiate e indispensabili di Calcio… molti studi, recenti e non solo, hanno ormai ampiamente dimostrato il contrario. Nel blog tratterò con attenzione il tema, stay tuned 🙂 di seguito anticipo un paio di chiarimenti.
Prima nemica della salute delle ossa è l’osteoporosi, che non si cura né si previene con il consumo di latte, anzi, la migliore strategia è la riduzione delle proteine animali nella dieta. Togliere carni, uova, latte e formaggi aiuta le ossa, questi alimenti infatti hanno un noto effetto acidificante e per tamponare l’acidità il nostro organismo interviene prelevando calcio dalle ossa. Vuoi ossa più forti? Elimina o quanto meno riduci le proteine di origine animale, il sale e lo zucchero bianco, il fumo e il caffè. Al bando anche la sedentarietà. Non far mancare nella tua alimentazione il Calcio, che otterrai facilmente da fonti vegetali (esempio: gomasio, sesamo, mandorle, legumi, crucifere) e assicurati una buona dose di vitamina D, a partire da una corretta esposizione al sole.
I latticini non sono funzionali alla salute delle ossa.
Considerazioni finali
- Sicuramente ci sono allevatori che fanno crescere il cucciolo con la mamma, che prestano maggiore attenzione al benessere animali, che permettono alle mucche di pascolare all’aperto anziché trascorrere la vita in stalla… ti sfido però a individuare sul mercato la provenienza degli ingredienti che stai acquistando. Non è facile capire da quale allevamento provenga il latte che compri al supermercato, quello utilizzato per la brioche che acquisti al bar o per produrre la schiuma del tuo cappuccino, difficilmente il cameriere saprà indicarti come è stata prodotta la mozzarella di bufala che si trova sulla tua pizza… Quindi? io al momento evito questi prodotti e opto per le, ormai numerosissime, alternative vegan.
- Esistono delle realtà virtuose? Può essere ma ad oggi di sicuro non è facile identificarle perché manca un riconoscimento chiaro. Una realtà diversa potrebbe essere costruita, ma al momento non sembra una priorità per l’industria. Il consumatore può “SOLO” scegliere se finanziare questo mercato e investire nelle sempre più numerose alternative vegane.